Elemosina:
il significato della canzone

QUAL È IL SIGNIFICATO DEL BRANO Elemosina?

Dopo questo articolo su il solito sesso, ho deciso di avviare una rubrica con i significati delle canzoni di Max. A volte davvero intricati! Provo allora a dare una mia personalissima interpretazione: nasce da una mia idea e il significato non può che essere soggettivo! Non ha la pretesa di essere certamente l’originale motivazione e significato a cui pensavano Max e suo fratello Francesco quando scrivevano i testi. Pronti? Via!

Stéphane Mallarmè, il poeta autore della poesia “Il mendicante”

Elemosina (testo e accordi) è stata scritta da Francesco e Max Gazzè, pubblicata nel 2000 nell’album Gadzilla (o Max Gazzè).

Il testo di questa canzone è tratto da una poesia di Stéphane Mallarmè, poeta francese citato anche in Su un ciliegio esterno. In particolare è stato tradotto il testo di “Il mendicante”. In una vecchia intervista del 2004 Max ha spiegato la cosa dicendo che «da poco ho re-imparato a parlare l’italiano e mi ha incuriosito la densità delle parole. Ci tengo a decifrare il significato subliminale della parola e poi cantarlo. La parola è in simbiosi con la musica».

Questo brano parte dunque dalla passione di Max e del fratello Francesco per la poesia e per l’intreccio ritmico delle parole. Ma soprattutto si sofferma sul significato profondo di una poesia che cerca di indagare sui sentimenti di un mendicante, restituendogli una fetta di dignità. La sua interpretazione non è affatto semplice, ma proviamo!

«Prenditi questa borsa, mendicante,
tu accorto non l’hai toccata
Antico lattante a poppa avara
Per trarne goccia a goccia
il tuo rintocco a morto»

Elemosinare significa fare affidamento alle cose e alle buone azioni degli altri. Non solo ai loro soldi, anzi spesso le cose più importanti sono un pezzo di pane, una bottiglia di acqua, una coperta o una borsa. Eppure, quando l’abbiente dona al meno fortunato, c’è una sorta di riverenza ipocrita: cerca di giustificare il suo gesto. Sente la necessità di specificare che quella borsa che sta donando non l’ha toccata. La spaccia per nuova così come vorrebbe la sua coscienza. Così, colui che fatto adulto si ritrova a donare al mendicante, grazie ai risparmi di una vita, sembra prolungare la scadenza di chi una vita non ce l’ha.

«Cava tu dal metallo qualche colpa bizzarra,
E vasta come noi la stringiamo sul cuore
soffiaci che si torca un’ardente fanfara
Chiesa e incenso che tutte queste dimore sui muri»

Se hai mai donato una moneta a un senzatetto, conosci il suono che fa il suo rimbalzo quando la porgi nella lattina che raccoglie le offerte. Il suono del metallo contro metallo riecheggia nell’anima, ricordando tutta l’avidità, le paure e le responsabilità dietro al dio denaro. Un senso di colpa così grande che lascia un peso nel cuore, che per levarlo via dovresti soffiare così forte da poterci suonare uno strumento a fiato. Là nei muri delle chiese, o dove sono soliti sostare i clochard, si respira spesso questa atmosfera.

«Le preghiere e l’oppio onnipossente ogni farmaco spezzi,
Stracci e pelle, vuoi tu buttare il cappottino
e ber nella saliva una felice inerzia?
E nei caffè sontuosi attendere il mattino
I soffitti arricchiti di naiadi e veli
Si butta il mendicante di vetrina un festino»

Davanti agli occhi di un mendicante scorrono molte cose. Scene, persone, personaggi, i loro abiti sontuosi da vetrina. Ma sembra tutto mendace, cose vane per perditempo. Ci si agghinda come un albero di Natale, ma si sa che si tratta di cose fugaci utili solo all’estetica. Conta di più sfamarsi! E per farlo il mendicante deve attendere di fronte ai locali ben frequentati, nella speranza di ottenere un caffè caldo come unico appiglio della giornata. Preghiere e oppio da soli non possono bastare…

«Quando esci vecchio Dio,
Tremante sotto i teli d’imballaggio,
L’aurora è un lago di vino d’oro.
E tu giuri di avere nella tua gola i cieli
Non avendo contato il lampo del tuo tesoro
Almeno puoi ornarti di una piuma
E a ricordo portare un cero al santo in cui tu credi ancora»

Queste sono le parole che il mendicante rivolge a Dio in preghiera. Egli cerca una specie di conversazione col Signore. Prova a pregarlo ma anche a criticarlo, come fosse invidioso delle bellezze del creato che continuano ad esistere nonostante la povertà che affligge il mondo. Nasce così l’incertezza verso quel Dio “in cui tu credi ancora“. Potrà mai uscire allo scoperto un Dio? Si mostrerà mai oltre i teli dell’ignoto?

«Non pensare che io vaneggi in parole discordi
La terra si apre antica a chi muore di fame.
Odio un’altra elemosina:
Voglio che tu mi scordi fratello
E innanzitutto non comprare del pane»

Il testo si chiude con il senso di colpa. Non più quello di colui che dona, ma stavolta di colui che riceve. Un senso di colpa che diventa rabbia: anche quando tutto sembra perduto infatti, l’orgoglio impedisce di accettare tutto quello che viene. E così il mendicante vuole essere solo scordato, vuole chiudersi in se stesso e sparire agli occhi dei suoi simili. Non vuole più neanche il pane. O comunque non lo vuole con quella riverenza ipocrita di cui si parlava poco più su.

La poesia condensa una serie di sentimenti difficili e contrastanti, che ben interpretano la particolare situazione di chi è costretto a mendicare e vive tra il senso di colpa e lo smarrimento di chi non ce l’ha fatta ad integrarsi in una società che non gli piace. La prossima volta che vedi un clochard prova a pensare ai suoi sentimenti prima che ai suoi vestiti.

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Ti trovi d’accordo?

Questa è la mia interpretazione e spero di averti dato uno spunto per pensare… commenta l’articolo se ti va e dammi la tua opinione 🙂

Un libro sul tema: Poesie di Mallarmè. Testo francese a fronte.

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Il video della canzone

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